Le autorità jugoslave denunciarono 3.798 italiani alla Commissione delle Nazioni Unite per i crimini di guerra (United Nations War Crimes Commission), la quale ne iscrisse 729 nelle sue liste come criminali di guerra. Dopo l’entrata in vigore del trattato di pace italiano nel 1947, Belgrado chiese direttamente a Roma la consegna di 45 criminali di guerra. Le accuse colpivano i vertici militari e civili delle forze di occupazione italiane in Jugoslavia, ma anche i ranghi inferiori.
Sulla base degli accordi internazionali sottoscritti prima con l’armistizio (settembre 1943) e poi con il tratto di pace (febbraio 1947), l’Italia doveva consegnare i suoi criminali di guerra ai paesi che li avevano richiesti perché vi fossero giudicati. Fin dall’inizio il governo Badoglio elaborò però una strategia difensiva per evitare l’arresto e l’estradizione dei criminali di guerra italiani.
Tale strategia si basò su quattro punti:
a) processare i criminali di guerra italiani presso tribunali italiani;
b) rivendicare il carattere umanitario dell’occupazione italiana;
c) distinguere la condotta italiana da quella brutale dei tedeschi;
d) colpevolizzare i partigiani (specie quelli comunisti) per l’imbarbarimento della guerra.
Condivisa anche dai governi italiani di unità nazionale antifascista (1944-1947), tale strategia ebbe pieno successo e nessun criminale italiano fu consegnato alla Jugoslavia.
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